Si profila un’edizione pulita, lineare, con molte anteprime mondiali (ora è anche di moda dirlo…) ma soprattutto impegnata e con un occhio attento a due dei temi più attuali: la crisi (economica e non) e i fondamentalismi, siano essi politici, religiosi o economici.
Müller ha voluto strafare, mettendo sul piatto tutto quello che poteva mettere. D’altronde la Festa del Cinema di Roma è sempre stata un falò delle vanità, un baraccone vuoto e poco interessante per chi si occupa di cinema impegnato. Barbera ci è andato con i piedi di piombo, ha indossato il vestito buono e ha privilegiato il cinema che fa riflettere, anche se non sempre gradevole.
Alla leggiadra e pantagruelica abbuffata romanesca di Marco Müller si contrappone la lineare e un po’ sabauda semplicità di Alberto Barbera, che agita poco le mani e dispensa meno sorrisi del suo diretto concorrente.
Torino e il suo TFF si sono prudentemente defilati, mai mettere il dito tra moglie e marito. Quella che poteva sembrare una vendetta da quattro soldi (Müller non poteva attaccare direttamente Venezia e quindi ha pestato i piedi a Torino posticipando le date della kermesse) in realtà si profila come un autogol.
A noi italiani piace il cinema di qualità, sia esso leggero o impegnato, e in un momento di sobrietà come quello che viviamo, nulla è meno interessante di un red carpet pieno di inutilità e starlette.