(leggi la prima parte dell'intervista)
Se ti dico: Adriana Mulassano… cosa mi rispondi?
È stata la mia maestra. Una persona di rarissima sapienza, competenza e scorrevolezza di prosa che guardavo agli inizi della mia carriera, all'edizione romana del "Corriere della sera", come un pittore della domenica può guardare a Michelangelo. Adriana sa tutto: da come si taglia un vestito ai nomi di ogni singolo animale di pelliccia, dall'aneddoto su un sarto dell'800 a me sconosciuto all'ultimo completo di Lady Gaga, dal dandismo di Marcel Proust al minimalismo di Raf Simons. È una delle persone più impressionantemente informate che mi abbia rivolto la parola. Quando ci siamo conosciuti, e dopo che un mio articolo era stato scambiato per suo (abbiamo le stesse iniziali!), Adriana si è rivelata anche simpatica, divertente, ironica, umanissima. E senza la benché minima vanità. È una grandissima scrittrice, dovrebbe scrivere un manuale su "Come andare a una sfilata di mezza tacca e vincere il Pulitzer con il resoconto". Scherzi a parte, la amo di un amore ancora un po' intimorito. E mi piace così.
Il tuo libro “Finalmente libere” 45 (e più) donne raccontano come si sopravvive ai 45 (e più). Già… come si sopravvive?
Se usi lo chic messo da parte negli anni, non ti fai possedere dal mito del giovanilismo a tutti i costi e ti rendi conto che non devi per forza avere la chiappa soda o la tetta resiliente per sedurre qualcuno. Sempre che a 50, 60, 70 anni ti interessi sedurre qualcuno. Non c'è nulla di peggio dell'effetto "dietro liceo davanti museo", ma non c'è nulla di meglio del sentirsi dire "Che cinquantenne fantastica!" (n.b. Questo vale anche per gli uomini che si tingono i capelli e vanno in giro con i pinocchietti e le infradito d'estate o il giubbottino in pelle d'inverno: di una malinconia indicibile). Quindi si vive, non si sopravvive: è indispensabile però spararsi quantità massicce di autoironia e andare, serenamente, incontro a una stagione della vita dove c'è ancora molto da scoprire e molto da divertirsi. Senza farsi mai possedere dai moralismi.
Hai curato per Marie Claire di giugno scorso, il pezzo sulla nuova generazione delle old ladies (and gentleman) che si vestono con creatività, fotografate da Ari Seth Cohen. “Ma quanto sono avanti?”
La "nuova" generazione delle "old" ladies non è un attentato alla semantica, come potrebbe sembrare a un primo sguardo disattento e neghittoso. Esiste davvero un'inedita coscienza di sapere ciò che si è e di quanto si vale che è direttamente proporzionale all'anagrafe. Che un blogger furbetto come Ari Seth Cohen ci abbia pure lucrato sopra, facendone anche un patinato libro, non depone a sfavore di una libertà dell'apparenza che arriva alla stravaganza, approda alla follia, all'estremismo estetico. Ma non tracima nel ridicolo. Vi sembra complesso? Le vecchie volpi colorate ci riescono e a 70 anni voglio diventare anch'io così: anarchico e pazzamente elegante. Senza che qualcuno, vedendomi, chiami il 118.
Il post del 7 agosto, sul tuo blog, è dedicato ad Anna Piaggi, mancata qualche giorno prima. Com’è riuscita a mantenersi un personaggio così strabiliante, culturalmente appagante, anarchica, disubbidiente, nella moda, ma non avvinghiata ad essa, senza diventare una “fashion icon”, rimanendo sempre se stessa, fino alla fine?
Non ho mai conosciuto una persona così mentalmente connessa a tutto quello che succede nel mondo come Anna Piaggi, con l'eccezione - forse - di Karl Lagerfeld. Non si riesce a "mantenere" uno spirito così lieve e profondo se non c'è una solida base di cultura, competenza, economia di una conoscenza della storia della moda, dell'arte, di ogni espressione creativa. Mi piace ricordare Anna in versione artatamente grafica: considerava il suo corpo come una di quelle lavagne calamitate su cui depositava capi di provenienze tra le più disparate e incongrue che però, messe insieme, diventavano un tutt'uno con l'idea che lei aveva di se stessa.
Tra le tante collaborazioni c’è stata quella con DONNA, diretto da Daria Bignardi. Non pensi che sia stato un fashion magazine atipico per gli inizi 2000, troppo all’avanguardia e quindi poco capito?
L'esperimento di "Donna" è stato epico, secondo me. E non penso che l'avanguardia sia mai "troppa". O è avanguardia o non lo è. Purtroppo, per la ristretta mentalità nostrana, coniugare un fashion magazine con un pezzo sulla Madonna - la Vergine Maria, non la cantante - era considerato trasgressivo. Da caporedattore attualità, ricordo con molto piacere quegli anni in cui scrivevamo articoli lunghissimi, interviste assolutamente fuori registro (tra cui quella che considero la più bella della mia vita, quella con McQueen), rubriche al limite dell'irritazione, lunghi ritratti di personaggi che non ti aspetteresti di vedere su un giornale. Ho detto "giornale", non "giornale femminile". Poteva essere davvero il "The Face" o l' "Interview" italiano. Mi spiace solo aver perso i contatti con Daria, che non credo vorrà più ripetere un'esperienza da direttore, e secondo me sbaglia. Le darò una notizia: noi eravamo capitissimi dal pubblico, molto meno dall'allora amministratore delegato della casa editrice. Credo che a far chiudere "Donna" siano stati gli errori di alcuni signori che si occupano di finanza, non del grande pubblico di lettori e lettrici che ci seguiva con fedeltà totale.